Terminata la festa religiosa degli Addobbi iniziava quella civile, popolare, amicale, conviviale. Invitare tanti amici e parenti per “gli Addobbi” era la regola. Tutte le famiglie facevano il possibile e l’impossibile per offrire rinfreschi agli ospiti in visita e la cosa assumeva un aspetto corale, grazie anche ai portici.
Essendo le case della maggior parte delle famiglie piccole ed anguste, il luogo ove intrattenere i visitatori diventava il portico, grazie anche al fatto che si era a primavera inoltrata, circa due mesi dopo Pasqua, ed era gradevole restare fino a notte a far festa. La tavolate sotto il portico descritte da Bacchelli, erano la normalità e spesso erano gestite da più famiglie, a volte da tutte quelle che abitavano in quel tratto di portico.
E in più la festa diventava rionale, con banchetti, musica, giochi per bambini e momenti di socializzazione.
Banco che vende torta di riso nella festa degli Addobbi di Bologna – (© Fondazione Cassa Risparmio di Bologna)
La festa laica che seguiva quella religiosa degli Addobbi
E sulle tavole “Lei”, la Regina della Festa. Nel libro dell’Artusi è già descritta. Dall’800 (chissà se qualcuno sa chi l’ha inventata e quando…) la Torta di Riso divenne la regina della Festa degli Addobbi, tanto che in alcuni testi culinari viene detta Torta degli Addobbi.
Che di base è buonissima, ma che può essere molto diversa nel risultato finale per la molteplicità dei parametri in gioco: numero di uova per litro di latte, presenza di canditi, pezzatura delle mandorle, tipo di liquore con cui bagnarla, tempo di cottura, eccetera.
Mia madre la insegnò alle sue due nuore: il risultato fu che in famiglia ci furono sempre tre tipi di torta significativamente diverse!
La Camera di Commercio ha depositato la ricetta standard, ma ogni cuoca inserirà sempre il suo tocco personale, la sua interpretazione, come ogni grande solista di fronte ad una pagina di Chopin. E le considerazioni sulla Torta di Riso mangiata agli Addobbi di “Tizio” erano materia di discussione e critica (anche se la si era lodata in presenza della cuoca e se ne era fatta indigestione) almeno fino ad una successiva torta in altri Addobbi e fino a quando sarebbe stata sotto esame la propria.
Disegno della Decennale Eucaristica di San Procolo (© L.Cavazza – Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna)
Un ricordo personale degli Addobbi della Parrocchia di San Martino
MA veniamo a un ricordo personale. Parrocchia di San Martino, non ho ancora sei anni, ci sono gli Addobbi del 1949. Ricordo i lavori di imbiancatura in casa, il muro spostato per poter avere lo spazio per il mio letto “da grande”, i modesti mobili nuovi della camera da pranzo, i giorni e giorni passati da mamma e nonna nei preparativi. Le tante persone in visita, il grande senso di serenità e di gioia per l’incontrarsi.
Qualche tavolata sotto i portici, cui noi non partecipavamo: noi abitavamo sul lato della strada non porticata, e per aumentare la capienza della casa si sfruttavano il terrazzo sui tetti e i pianerottoli.
Dopo anni, da adulto, ho realizzato che con quella festa si chiudeva definitivamente per la mia famiglia il periodo della guerra (dopo quattro anni) e iniziava un periodo nuovo.
L’importanza della perfetta Torta di Riso a Bologna
E ricordo il “dramma” di alcune teglie di torta di riso cotte non perfettamente e non perfettamente orizzontali (mezza strada si era consorziata e aveva affittato il forno della panetteria) con il risultato che le “mandorle” non venivano tutte della stessa altezza e non erano dello stesso colore.
Roba da inficiare per un decennio la reputazione delle ‘arzdore’(*) del quartiere. Strategia adottata: mandorle della stessa altezza e colore nei vari piatti e serviti in ore diverse, vincolo al silenzio più assoluto per noi bambini (e grandi quantità di torta giudicata “non da bella figura”, peraltro buonissima, a disposizione di me bambino per vari giorni).
Torta di Riso (© giallozafferano.it)
Agli Addobbi successivi una delegazione di ‘arzdore’ dalla memoria lunga pretese di fare le prove di cottura e di verificare con la bolla da muratore il piano del forno vari giorni prima, con sorpresa e fastidio del fornaio, che nel frattempo era cambiato, e non capiva che importanza potesse avere se le teglie non erano perfettamente livellate.
«Mica si mangia intera!» tentò di protestare. Il commento delle ‘arzdore’ fu lapidario, conclusivo e in fondo assolutorio: «L’è un marammàn». Che tradotto vorrebbe dire «È un meridionale»(**).
Per puntiglio anagrafico e correttezza storica il poveruomo (valente artigiano panificatore e stimatissima persona) veniva da San Severino Marche.
Commento assolutorio, perchè cosa vuoi che ne capisse questo ‘forestiero’ che veniva da luoghi selvatici e lontani, della liturgia della Torta di Riso e della sua importanza per la riuscita degli Addobbi e per la gloria della padrona di casa?
La fine della festa degli Addobbi di Bologna?
Ma comunque erano passati dieci anni, le occasioni per far festa si erano moltiplicate, il benessere iniziava ad essere generalizzato. Quasi nessuna tavolata sotto i portici, qualche problema per il passaggio della processione nelle strade strette a causa delle auto parcheggiate.
Così gli Addobbi scandivano la vita dei Bolognesi di una volta (che, come tutti, campavano in media da poterne vedere non più di tre o quattro), almeno fino a quando il benessere diffuso fu solo un sogno e la realtà era per la maggior parte della gente così grama che per alleviarla altro non c’era che una bella processione, una atmosfera festosa, una giornata da ricordare, una bella mangiata in compagnia.
E al ragazzetto che quel giorno volesse finalmente dire la sua poteva capitare di sentirsi rimbeccare: «Parla quando ti toccano i prossimi Addobbi!».
NOTE DELL’AUTORE
- (*) Termine italianizzato della parola bolognese “arzdàura” (reggitrice) nel senso della responsabile della conduzione della casa e che spettava, soprattutto nelle campagne dove vi erano famiglie numerose e composite, ad una sola delle donne di casa, non necessariamente la più anziana, ma quella più capace.
- (**) I vecchi bolognesi chiamavo “maremmani” i meridionali (in generale) perché a quel tempo c’erano stati molti braccianti emiliani e romagnoli che avevano lavorato alla bonifica della Maremma.