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La Cucina Italiana è patrimonio UNESCO: cosa significa e il ruolo di Bologna e dell’Emilia-Romagna

La Cucina Italiana è patrimonio UNESCO: riconosciuto un modello culturale proprio del nostro paese. Il ruolo centrale di Bologna e dell’Emilia-Romagna.

Il banner celebrativo per l'inserimento della Cucina Italiana tra i patrimoni UNESCO (© Masaf)
Il banner celebrativo per l'inserimento della Cucina Italiana tra i patrimoni UNESCO (© Masaf)

La Cucina Italiana è patrimonio dell’UNESCO. È notizia di oggi la decisione ufficiale, presa all’unanimità dal Comitato intergovernativo riunito a Nuova Delhi, che ha iscritto il dossier «La cucina italiana, tra sostenibilità e diversità bioculturale» nella Lista rappresentativa del patrimonio culturale immateriale dell’umanità.

È la prima volta che un’intera cucina nazionale viene riconosciuta nella sua globalità, non come insieme di piatti tipici, ma come sistema di pratiche, rituali e saperi condivisi.

Che cosa ha riconosciuto davvero l’UNESCO

Il patrimonio culturale immateriale non riguarda oggetti o monumenti, ma pratiche vive: gesti, conoscenze, forme di convivialità che le comunità riconoscono come parte della propria identità e che si trasmettono di generazione in generazione.

Nel caso italiano, l’UNESCO descrive la cucina italiana come una «miscela culturale e sociale di tradizioni culinarie», «un modo per prendersi cura di se stessi e degli altri, esprimere amore e riscoprire le proprie radici culturali», offrendo alle comunità «uno sbocco per condividere la loro storia e descrivere il mondo che le circonda».

Il dossier presentato dal Ministero dell’Agricoltura e dal Ministero della Cultura non tutela una ricetta o un prodotto, ma un modello culturale condiviso, fatto di:

  • scelta consapevole delle materie prime e rispetto delle stagioni;
  • convivialità del pasto e centralità della tavola nella vita quotidiana;
  • trasmissione dei saperi in famiglia e nelle comunità;
  • legame stretto tra territori, paesaggi e cibo.

È quella che il Ministero definisce la «cucina degli affetti», dove memoria, cura e relazioni contano più della codifica rigida delle ricette.

Il Ministro degli Esteri Antonio Tajani insieme ai promotori dell'iniziativa (© Ministero Esteri)

Il Ministro degli Esteri Antonio Tajani insieme ai promotori dell’iniziativa (© Ministero Esteri)

Un percorso lungo cinque anni: dalle cucine di casa a Nuova Delhi

Il progetto nasce nel 2020 su impulso di tre comunità promotrici: la Fondazione Casa Artusi di Forlimpopoli, l’Accademia Italiana della Cucina e la storica rivista La Cucina Italiana, fondata nel 1929.

Nel marzo 2023 il Governo italiano lancia ufficialmente la candidatura «La cucina italiana, tra sostenibilità e diversità bioculturale». Da allora, il lavoro è stato accompagnato da una campagna capillare: dal lancio sul veliero Amerigo Vespucci al logo ufficiale presentato a Pompei, fino alle iniziative legate al G7 Agricoltura, alle grandi fiere agroalimentari e perfino a un progetto di space food con pasta italiana a bordo della ISS.

Il dossier è stato elaborato sotto la guida di Pier Luigi Petrillo, titolare di cattedra UNESCO e autore di molte candidature agroalimentari italiane, e di Massimo Montanari, professore emerito dell’Università di Bologna e tra i massimi storici dell’alimentazione a livello internazionale.

Montanari sintetizza così il cuore della candidatura: «Non i prodotti, non le ricette ma il sentimento della cucina che accomuna tutti gli italiani. La confidenza con il gesto del cucinare, che ha per gli italiani un fortissimo valore identitario».

Petrillo, dal canto suo, definisce la cucina italiana come «un mosaico di saperi locali e territoriali», in cui ogni contrada, quartiere, città e regione è una tessera diversa. Nessuna ricetta è uguale ovunque, nulla è standardizzato: «Il cibo è come l’acqua: assume il colore dei territori che attraversa».

La Cucina Italiana patrimonio Unesco, le reazioni ufficiali

Il riconoscimento è stato accolto dal Governo con toni fortemente identitari. Il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida ha parlato di «festa che appartiene a tutti», sottolineando come la cucina italiana racconti «le nostre radici» e la capacità di trasformare la tradizione in «valore universale».

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha definito il risultato «un orgoglio, la vittoria di una Nazione straordinaria che, quando crede in se stessa, può stupire il mondo».

Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha insistito sul legame tra cucina italiana, salute e dieta mediterranea, mentre il capogruppo alla Camera dei Deputati di Fratelli d’Italia Galeazzo Bignami ha parlato di «successo straordinario del governo Meloni».

Dal punto di vista economico, Petrillo ricorda che i riconoscimenti UNESCO, se gestiti bene, producono effetti concreti a partire dal terzo o quarto anno, come dimostra il caso dell’arte dei pizzaiuoli napoletani, che ha visto crescere corsi e scuole specializzate di oltre il 200% in meno di un decennio.

Il Colosseo illuminato a festa con il Ministro dell'Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste Francesco Lollobrigida, il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il Ministro della Cultura Alessandro Giuli (© governo.it)

Il Colosseo illuminato a festa con il Ministro dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste Francesco Lollobrigida, il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il Ministro della Cultura Alessandro Giuli (© governo.it)

Il ruolo di Bologna ed Emilia-Romagna: dalla Food Valley a Casa Artusi

In questo percorso, l’Emilia-Romagna non è una semplice comprimaria. L’assessore regionale all’Agricoltura Alessio Mammi ha parlato di «grande risultato del nostro Paese», ricordando che la regione è protagonista grazie alle sue 44 Dop e Igp, dal Parmigiano Reggiano all’aceto balsamico tradizionale, dalla mortadella di Bologna al prosciutto di Parma.

Per Mammi, questo patrimonio nasce nelle famiglie, diventa ricchezza delle comunità e poi biglietto da visita internazionale grazie al lavoro di chef e ristoratori. Da qui l’invito a usare il riconoscimento per tutelare i prodotti e al tempo stesso promuoverli nel mondo, raccontando le storie di imprese, consorzi e ristorazione che alimentano la “Food Valley” emiliano-romagnola.

Un ruolo centrale è riconosciuto a Casa Artusi di Forlimpopoli, dedicata al padre della cucina italiana moderna, Pellegrino Artusi. Fin dall’avvio del percorso la Fondazione è stata uno dei motori della candidatura, contribuendo alla stesura del dossier (proprio con Massimo Montanari come presidente del comitato scientifico) e al coinvolgimento delle comunità della cucina di casa.

Il presidente Andrea Segrè ha annunciato la nascita dell’Osservatorio internazionale sulla cucina e il buon gusto italiano, con l’obiettivo di monitorare e valorizzare questo patrimonio, attraverso ricerche e rapporti sui temi chiave: gusto, salubrità, sostenibilità, modelli di consumo, valori etici e sociali legati alla tradizione alimentare mediterranea.

Anche Bologna entra in questo racconto non solo come “capitale” ideale della cucina emiliano-romagnola, tra tortellini, tagliatelle al ragù, mortadella, mercati coperti e osterie, ma anche come luogo di produzione di pensiero. Qui insegna e lavora da decenni Massimo Montanari, che all’Università di Bologna ha fondato il Master in “Storia e cultura dell’alimentazione” e ha dedicato un intero volume a «Bologna, l’Italia in tavola», mostrando come la città riassuma in sé il rapporto fra cibo, storia e identità del Paese.

Una cucina inclusiva, non un confine identitario

Questo importante traguardo non è da considerare come un motivo per identificare una “vera cucina italiana” da contrapporre al resto del mondo, irrigidendo ricette e tradizioni e trasformando il cibo in bandiera identitaria.

Per evitare questi scogli, il dossier finale ha scelto di spostare il fuoco dalle ricette alle relazioni, dal “come si cucina” al “cosa significa cucinare” per gli italiani. Una fotografia di un ecosistema nel quale il cibo è osmosi continua fra territori, paesaggi, tempi della vita quotidiana, riti sociali e ibridazioni culturali.

Montanari lo ribadisce: la cucina italiana non è fondata su un modello unico, ma sulla condivisione delle differenze, mentre Petrillo sottolinea che «il riconoscimento UNESCO non serve ad affermare una sovranità del nostro modo di cucinare», ma a riconoscere la capacità di questa cucina di fare da ponte tra culture, come una spugna che assorbe e restituisce influenze, dentro e fuori dai confini nazionali. Il dossier UNESCO certifica che la forza della cucina italiana sta nella sua elasticità, nella sua capacità di cambiare e ibridarsi.

Cucina Italiana patrimonio UNESCO, tra festa nazionale e responsabilità futura

Il ministro Lollobrigida vede nel riconoscimento uno strumento per aumentare il valore economico delle filiere, creare nuovi posti di lavoro e rafforzare la tutela del Made in Italy nel mondo.

Gli studiosi ricordano però che il marchio UNESCO non è un’etichetta da mettere sui prodotti, ma una responsabilità collettiva: significa investire in educazione alimentare, ricerca, formazione, documentazione, cooperazione internazionale. Casa Artusi, ad esempio, ha già annunciato programmi dedicati proprio a questi ambiti.

Per Bologna e l’Emilia-Romagna questo passaggio è anche l’occasione per consolidare un ruolo che è insieme gastronomico e culturale: terra di prodotti simbolo, ma anche laboratorio di idee sulla storia del cibo, sull’educazione al gusto, sul rapporto tra biodiversità, sostenibilità e identità.

La sfida, da domani, è evitare che la formula «cucina italiana patrimonio UNESCO» diventi solo un’etichetta da marketing. E far sì che continui a indicare ciò che il dossier racconta sin dall’inizio: un patrimonio vivo, fatto di famiglie che cucinano, comunità che condividono, territori che cambiano senza smettere di riconoscersi in ciò che mettono in tavola.

Una delle immagini utilizzate dal Governo per promuovere la Cucina Italiana (© cultura.gov.it)

Una delle immagini utilizzate dal Governo per promuovere la Cucina Italiana (© cultura.gov.it)

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