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Meno chitarre, più badili: Giorgio Bonaga racconta il rapporto tra Tobia Righi e Lucio Dalla

Meno chitarre, più badili. Storia di Tobia Righi: il buon senso subito dietro il paravento, Giorgio Bonaga

Meno chitarre, più badili, slogan caro a Tobia Righi, è una battuta che torna spesso ed è diventata molto più di una frase: dà infatti il titolo al libro pubblicato da Minerva con sottotitolo: Storia di Tobia Righi: il buon senso subito dietro al paravento, che Giorgio Bonaga ha voluto dedicargli. Il titolo del libro si ispira a una frase che Tobia amava rivolgere ai cantanti che, con il loro comportamento, finivano per metterlo a dura prova e che erano capaci di fargli perdere la pazienza.

Il volume sarà presentato per Le voci dei libri domani alle 18.00 all’Oratorio di San Filippo Neri. Accanto all’autore ci saranno Stefano Bonaga, fratello di Giorgio, e il protagonista del libro, Tobia Righi.

Tobia Righi: compagno di viaggio e collaboratore di Lucio Dalla

Il professor Bonaga ha spiegato che la sua amicizia con Tobia risale a quando erano entrambi molto giovani. Ha ricordato che Tobia Righi è entrato nella vita di Lucio Dalla nel periodo in cui collaborava con Pupi Avati e che, in uno dei primi film del regista compariva addirittura come aiuto regista. Ha precisato tuttavia che, più che quel ruolo, Tobia era capace nell’impresa di soddisfare ogni richiesta del regista. Tobia, come racconta Bonaga, è stato per decenni al fianco di Lucio Dalla.

Le figure genitoriali di riferimento di Lucio Dalla

Ha ricordato che il padre di Lucio, Giuseppe Dalla, è morto quando il figlio aveva poco più di sette anni. Aggiunge inoltre che la madre, Jole Melotti, era finita per essere quasi più una figlia per Lucio che una madre. Ha concluso affermando che, nella vita adulta di Dalla, le figure genitoriali di riferimento sono state Renzo Cremonini, nel ruolo materno, e Tobia, in quello paterno. Tobia rappresentava una figura genitoriale severissima, ma mossa da un eccesso d’amore: «A Lucio non perdonava niente, lo rimproverava come uno scolaretto, ma la sua severità era tutta finalizzata a prevenire o a evitare complicazioni nel lavoro e nella vita privata di Lucio».

Tobia è stato una presenza preziosa per Lucio, paragonabile alla figura di Mister Wolf in Pulp Fiction, ovvero, colui che risolve i problemi. Righi aveva già ricoperto un ruolo simile in passato con Pupi Avati, conosciuto al Bar Margherita di via Saragozza, nel periodo in cui il futuro regista, allora clarinettista della Rheno Dixieland Jazz Band di Nardo Giardina, era stato messo in ombra da un giovanissimo e promettente Lucio Dalla.

I biasanòt

Nel periodo in cui aveva iniziato a lavorare come barbiere e antennista frequentava con grande assiduità il ristorante Da Cesari, dove era ormai entrato a far parte stabilmente del gruppo di amici di Lucio Dalla. Si trattava di un nucleo di compagni, i biasanòt, i quali, amanti della vita notturna, erano soliti ritrovarsi proprio nel locale di via Carbonesi.

Gli anni giovanili di Tobia, autista e accompagnatore di Lucio Dalla

La prima parte del libro apre una finestra sugli anni giovanili di Tobia, ripercorsi nell’intervista che apre il volume: astemio e non fumatore, ma già figura centrale nel giro di amici di Lucio Dalla. Racconta di quando il cantautore, allora senza un soldo, cercava un autista, e fu Stefano Bonaga a consigliargli Tobia. Tobia aveva accettato di fare da autista e accompagnatore di un artista che ancora non aveva raggiunto la fama e che si trovava in un momento complesso della sua vita anche dal punto di vista economico. A metà degli anni Sessanta, ricorda Giorgio Bonaga, Dalla non era ancora l’artista di fama che conosciamo oggi, ma già si intravedeva quel talento che lo ha portato a raggiungere un successo senza pari.

La loro collaborazione, una vera manna per entrambi 

La collaborazione tra Lucio Dalla e Tobia ebbe inizio così e, come ha ricordato, «non solo è durata per tutta la vita di Lucio ma è stata una vera manna per entrambi». Tobia, sposato dal 1980 con Ambra, ha festeggiato lo scorso anno i novant’anni mantenendo quella che lui stesso chiama la sua «signora ignoranza», una sorta di buon senso intriso di saggezza popolare che permea il suo pensiero e il suo modo di parlare.

(Fonte: Corriere di Bologna, Piero Di Domenico)

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