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Cinema

La voce di Hind Rajab: «Il cinema può dirti che questa bambina esiste».

 

Il 25 settembre è uscito nelle sale cinematografiche con I Wonder Pictures il film La voce di Hind Rajab scritto e diretto dalla regista tunisina Kaouther Ben Hania, già due volte candidata agli Oscar per Quattro figlie (2024) e per L’uomo che vendette la sua pelle (2021).

Una testimonianza necessaria e urgente

Vincitore del Leone d’Argento – Gran Premio della Giuria alla 82ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, il lungometraggio rappresenta una testimonianza necessaria e urgente sulla storia straziante e struggente, realmente accaduta, della bambina palestinese Hind Rajab la cui voce è diventata simbolo del grido lacerante di tutti i civili, uomini, donne e bambini vittime del massacro e del genocidio che si consuma sulla Striscia di Gaza.

Una foto di Hind Rajab mostrata nel film

La storia

29 gennaio 2024: squilla il telefono, l’arrivo della chiamata irrompe tra il silenzio assordante del pronto intervento della Mezzaluna rossa in Cisgiordania.

Omar, uno dei volontari dell’organizzazione umanitaria, risponde alla chiamata d’emergenza dalla Germania: la voce è quella dello zio di una bambina che è rimasta bloccata con la sua famiglia all’interno di una macchina crivellata dai colpi in una delle zone militarizzate della Palestina.

L’operatore riesce a mettersi in contatto con la bambina di 6 anni la cui voce è impaurita, rotta e soffocata mentre in sottofondo rimbombano e scheggiano gli spari nel quartiere di Tel al-Hawaa a sud della città di Gaza appena attaccato dall’esercito israeliano. E’ intrappolata all’interno dell’auto, i familiari che si trovavano con lei sono stati tutti uccisi, la bambina è circondata dai corpi e dal sangue. La piccola implora aiuto, supplica di non essere lasciata da sola, di essere salvata prima che faccia buio.

Una città senza identità

Omar si mobilita, chiedendo a Madhi, responsabile delle operazioni dei volontari di inviare soccorsi il prima possibile. Ma il coordinamento per l’arrivo degli aiuti è complesso. Le procedure del protocollo sono estenuanti, un labirinto che sembra portare solo alla presa di coscienza di un’impossibilità di azione. Si cerca un percorso da tracciare in una città le cui strade sono cancellate dalle macerie, senza più case, palazzi, piazze. E’ una città senza identità, una città che non esiste più.

Istanti che si dilatano, chilometri che si allungano

Hind si trova solo a pochi minuti di distanza eppure quei pochi istanti che la separano dalla salvezza si dilatano in un tempo che sembra interminabile e i pochi chilometri sembrano diventare uno spazio infinito. Il coordinatore deve aspettare che venga tracciato un percorso sicuro, deve attendere l’autorizzazione dell’esercito israeliano prima di mandare l’ambulanza nel quartiere sotto attacco e salvare la bambina.

Rama, responsabile del gruppo degli operatori, interpretata dall’attrice Saja Kilani, nel frattempo resta al telefono con la piccola Hind, cercando con voce calma di rassicurarla, di intrattenerla e tenerla ancorata alla speranza. I volontari rimangono aggrappati alla sua voce mentre le ore passano e la luce del giorno lascia il posto all’oscurità di una notte che incute ancora più terrore.

Non c’è spazio per la finzione

La regista Ben Hania utilizza gli audio reali delle telefonate di quel 29 gennaio, mantiene intatta la voce originale della bambina e allo stesso tempo affida a interpreti professionisti il ruolo dei volontari. Ciò contribuisce a rendere il film ancora più realistico e ha un impatto emotivo sul pubblico ancora più forte. Un pugno nello stomaco.

Non c’è finzione, tutto si svolge in un tempo reale, quello scandito da Omar che scrive le ore sul vetro, con dialoghi che ricalcano fedelmente quelli realmente avvenuti e che si alternano a immagini documentarie. Ma è un tempo che a livello percettivo ed emotivo si dilata sempre più.

La voce di Hind Rajab è la voce di Gaza

Come ha avuto modo di spiegare la regista, la voce di Hind Rajab è la voce di Gaza, di tutti i bambini che chiedono aiuto. Eppure nessuno può intervenire, nessuno può aiutare.

Il punto di vista e la prospettiva usata dalla regista è quella adottata dalla bambina. Lo si intuisce con i dialoghi intrattenuti con la operatrice nei quali più volte la piccola esprime la sua paura per il buio e per un’oscurità che incombe insieme ai rumori che sente intorno a lei. E’ un buio che inghiotte e che non consente né agli spettatori né alla protagonista di distinguere le sembianze di coloro che stanno sparando.

Un crescendo di tensione e angoscia in una lotta contro il tempo

La sua voce fievole che contrasta con il rumore assordante degli spari e dei carri armati amplificano la tensione in un crescendo di emozioni che si percepiscono anche attraverso gli atteggiamenti e i comportamenti dei volontari che si lasciano andare a momenti di nervosismo, angoscia, dando vita a degli scontri sul modo di agire e operare.

La consapevolezza di Hind

La tensione aumenta anche in rapporto alla progressiva presa di coscienza della bimba di ciò che sta accadendo intorno a lei. Inizialmente Hind pensa che i suoi familiari che le stanno vicino stiano dormendo e anche Rama la asseconda invitandola a non svegliarli perché ciò comporterebbe per lei la scoperta di una cruda realtà. Con il passare del tempo la piccola assume sempre più consapevolezza della verità e i volontari si sentono impotenti e sopraffatti di fronte alla dolorosa e crudele esperienza di abbandono e solitudine che una bambina di quell’età non dovrebbe mai né vivere né affrontare.

Oltre ai social media: il cinema ferma il tempo

In un dialogo tra gli operatori si fa riferimento al ruolo che i social possono avere nella diffusione mediatica di immagini legate ai contesti di guerra.

Ma l’impatto generato da un film è certamente maggiore, come ha avuto modo di spiegare la stessa regista che a tal proposito ha detto: «I social media purtroppo sono un flusso di informazioni che si dimenticano. Troppa informazione alla fine diventa nessuna informazione. Il cinema è altro. Mette a fuoco una singola storia e, attraverso quella, crea empatia, un sentimento che come umanità dobbiamo sviluppare e coltivare».

E aggiunge: «E’ il motivo per il quale ho fatto questo film, perché quando le persone non conoscono storie e non hanno accesso all’alterità, ai palestinesi per esempio, quando non ascoltano voci palestinesi, per loro non esistono. Il cinema può dirti che questa bambina esiste, ascolta la sua voce».

Hind grida: «Salvatemi» ed è l’urlo di tutti i bambini costretti a sopravvivere sotto le bombe.

L’appello di Saja Kilani: «Adesso basta!»

L’attrice Saja Kilani, in nome di tutto il cast e la squadra che ha lavorato a questo film ha rivolto un appello: «Nessuno può vivere in pace quando i bambini ci chiedono di essere salvati. Dobbiamo chiedere giustizia per l’umanità intera, per il futuro di ogni bambino. Adesso basta!»

E’ molto più di un film, è la dimostrazione di un orientamento sempre più chiaro, è la prova di come il mondo del cinema stia prendendo una posizione sempre più esplicita e decisa rispetto al conflitto israelo-palestinese.

E tu cosa ne pensi?

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