Zohran Kwame Mamdani non è il classico politico americano. Musulmano, figlio di genitori indiani, nato a Kampala e cresciuto tra Africa e Stati Uniti, il nuovo sindaco di New York ha infranto più di una convenzione. Socialista dichiarato, attivista pro-Palestina, ex rapper e tifoso sfegatato dell’Arsenal, Mamdani incarna un modello politico non nuovo ma efficace, che mescola idealismo, impegno sociale e cultura pop.
Dalle strade di Kampala ai parchi di Manhattan
Cresciuto a Kampala fino all’età di cinque anni, Mamdani si trasferisce negli Stati Uniti nel 1998, portando con sé un bagaglio culturale ricco e una passione che diventerà parte della sua identità: il calcio. È lo zio ugandese a trasmettergli l’amore per l’Arsenal, una fede calcistica che affonda le radici in una squadra simbolo della diaspora africana in Europa. «Sono cresciuto con Kolo Touré, Kanu, Alex Song e Emmanuel Eboué», ha raccontato in un’intervista, ricordando gli anni in cui gli “Invincibili” londinesi rappresentavano un sogno di riscatto e orgoglio per milioni di tifosi nel mondo.
Da ragazzo gioca nella West Side Soccer League di Manhattan, quando il calcio negli Stati Uniti era ancora un fenomeno di nicchia. Quelle partite nei parchi di New York, raccontate in vecchi video amatoriali, rappresentano oggi un frammento quasi simbolico della sua storia: un ragazzo di origini africane che trova nel pallone un linguaggio universale, quello che potrebbe definirsi un ponte tra culture.
Il calcio come leva politica e sociale
Quando decide di candidarsi a sindaco, Mamdani non rinuncia a questa parte di sé. Anzi, la trasforma in un potente strumento di comunicazione politica. Nel 2023 organizza la “Keffiyeh Cup”, un torneo di beneficenza per raccogliere fondi a favore dei rifugiati palestinesi. Poco dopo inaugura un’accademia calcistica per giovani immigrati del Bangladesh. È lì che il suo messaggio comincia a radicarsi: il calcio come spazio d’incontro, integrazione e partecipazione.
Nel 2024 la sua campagna elettorale si lega a doppio filo a questo sport. Sui social diventano virali le immagini del “Cost of Living Classic”, un torneo cittadino che unisce sport e attivismo sociale. In quell’occasione Mamdani propone anche un’iniziativa che fa discutere: chiedere alla FIFA di abolire il “dynamic pricing” dei biglietti per i Mondiali 2026, in modo da garantire l’accesso anche ai tifosi con minori possibilità economiche.
La proposta, accolta inizialmente con scetticismo, diventa il simbolo del suo programma politico: una New York più giusta, accessibile e vicina alle classi popolari. Il calcio, in questo contesto, non è semplice folklore, ma un linguaggio di inclusione e solidarietà, capace di unire comunità spesso distanti.
L’ex rapper Mr. Cardamom
Prima di diventare sindaco, Mamdani era noto nella scena musicale del Queens con il nome d’arte Mr. Cardamom. Il New York Times nel 2019 gli dedicò un articolo, colpito dalla delicatezza del suo brano “Nani”, scritto in omaggio alla nonna Praveen Nair, attivista per i diritti dell’infanzia.
Tra il 2015 e il 2016 pubblica, insieme al rapper ugandese HAB, canzoni che mescolano inglese, swahili e luganda, con testi ironici ma politicamente densi. Il brano “Askari” denuncia il razzismo e la “valorizzazione della bianchezza” nelle società postcoloniali. Nello stesso periodo partecipa alla colonna sonora del film Queen of Katwe, diretto da sua madre Mira Nair, regista candidata all’Oscar.
Questa esperienza musicale segna profondamente la sua visione politica: come nell’hip hop, Mamdani cerca nella politica una voce per chi non ne ha, un ritmo comune capace di unire differenze e conflitti.
Una visione per New York e oltre
Nel suo primo discorso dopo la vittoria, Mamdani ha detto: «Se qualcuno può mostrare a una nazione tradita da Donald Trump come sconfiggerlo, quella è la città che lo ha fatto nascere». Parole che uniscono la forza della provocazione alla promessa di un cambiamento reale. L’obiettivo dichiarato di Mamdani è di trasformare New York in un modello di inclusione globale, dove sport, cultura e giustizia sociale convivono come strumenti di emancipazione.
