Attenzione, perché il libro di cui parliamo oggi ha tutte le carte in regola per diventare il miglior e allo stesso tempo peggior libro che abbiate letto: parliamo di “Una banda di idioti” di John Kennedy Toole, edito da Marcos Y Marcos nel 2004.
Ambientato nella New Orleans dei primi anni Sessanta, offre un caustico e paradossale spaccato di vita degli Stati Uniti di quel periodo. Il protagonista è Igniatius Jacques Reilly, un trentenne con gusti discutibili non solo per l’abbigliamento, che vive con la madre in una casa popolare.
A causa di un incidente i due devono fare fonte a spese impreviste e ristrettezze economiche e il pargolo deve finalmente cercarsi un lavoro. Questo è un enorme problema, perché Ignatius non ha solo un fisico corpulento, ma un ego e un’autostima ancora più grandi.
La ricerca del lavoro e il lavoro stesso lo porterà a conoscere persone e vivere situazioni oltre il limite dell’assurdo che concorrono a consolidare nel protagonista la sua elevata morale e intelligenza, rispetto ad un mondo costellato di idioti.
Sullo sfondo, ma neanche tanto, uno spaccato di quella nazione in una città già “multietnica” come New Orleans. Da questo nascono incontri e scontri a dir poco grotteschi e irreali, che portano a un finale quasi fiabesco.

Copertina di “Una banda di idioti”
Una banda di idioti: dal grottesco all’assurdo, passando dalla critica civile con una filosofia di fondo
Vi è mai successo di chiedervi perché continuate a leggere un libro apparentemente assurdo? Vi è mai capitato di non riuscire a staccarvi da una storia nonostante vi sembri priva di qualunque senso? Bene, la domanda del perché continuare a leggere questo libro me la sono fatta più volte, ma alla fine l’ho finito e l’ho adorato. Penso sia un libro imperdibile e, nel suo genere, un capolavoro.
Ci sono più livelli di lettura che vanno dalla commedia dell’assurdo e degli errori alla critica della società, mettendo alla berlina conformisti tanto quanto anticonformisti tali solo per una presa di posizione. Tutto volge male, almeno apparentemente, semplicemente perché nessuno dei personaggi in realtà fa nulla di sensato.
Ma attenzione: questo libro è uno dei classici della letteratura americana del XX Secolo e ha vinto il Premio Pulitzer per la narrativa nel 1981, un anno dopo essere stato pubblicato. E un motivo ovviamente c’è.
Intanto lo scritto rispecchia la struttura del libro preferito di Ignatius, il “De Consolatione Philosophiae” del filosofo Boezio (Anicio Manlio Torquato Severino Boezio). Vi sono ad esempio degli scritti del protagonista tratti dal proprio diario oppure da lettere scritte tra lui e la sua controparte femminile (Myrna Minkoff) che interrompono e integrano la normale narrazione degli eventi, così come poesie intermezzavano le parti in prosa di Boezio.
Poi ci sono alcuni temi autobiografici, dal rapporto con la madre a quello con lavoro in fabbrica, di un autore che purtroppo non è sopravvissuto alla sua opera.

John Kennedy Toole
John Kennedy Toole, la storia nella storia
Vi è poi la storia del romanzo in sé. Toole non riuscì a pubblicare il proprio manoscritto: negli anni ’60 era un libro visionario, assolutamente fuori dallo standard dell’epoca.
Le pagine vennero poi ritrovate dalla madre sparse tra vari cassetti della camera del figlio morto suicida nel 1969. Dopo averlo letto e fatto leggere ad alcuni letterati della città, lo inviò a una serie di editori che lo rifiutarono in blocco. Non era ancora ora.
Ma la madre non si arrese e alla fine, a forza di insistere, riuscì a coinvolgere un letterato e fare infine pubblicare lo scritto del figlio nel 1980. Scritto evidentemente di alto profilo visto che l’anno dopo vinceva il Pulitzer.
Ultima nota: davanti agli ex magazzini Holmes di New Orleans, dove inizia la storia narrata dal libro, ormai da tanti anni è stata posata una statua di Ignatius J. Reilly, l’antieroe per eccellenza (la vedete in apertura di articolo).
