BOB DYLAN – BRINGING IT ALL BACK HOME
Uscito il/nel: 22 Marzo 1965
Etichetta: Columbia
Numero di catalogo: S BPG 62515
Durata: 47′ 21″
Tracce:
LATO A
01. Subterranean Homesick Blues
02. She Belongs To Me
03. Maggie’s Farm
04. Love Minus Zero/No Limit
05. Outlaw Blues
06. On The Road Again
07. Bob Dylan’s 115th Dream
LATO B
01. Mr. Tambourine Man
02. Gates Of Eden
03. It’s Alright Mama (I’m Only Bleeding)
04. It’s All Over Now Baby Blue
Singoli:
Subterranean Homesick Blues/She Belongs To Me
Maggie’s Farm/On The Road Again

Bob Dylan (© X)
Ci sono dischi che hanno successo, di vendite o di critica che sia, altri ne hanno meno ma sono apprezzati dalle nicchie, altri ancora segnano un’epoca e influenzano più generazioni. Pochi però sanno che il rock, per come lo conosciamo e storicizziamo oggi, ha un inizio vero e proprio, un disco che lo avrebbe cambiato per sempre. Siamo alla fine del 1964 e Bob Dylan ha già raggiunto un discreto successo, tuttavia il suo animo è – chi mai lo direbbe? – tormentato. Negli ambienti del folk è considerato il nuovo profeta, ha raccolto l’eredità di un Woody Guthrie malato e sofferente, oltretutto con la benedizione dell’artista stesso.
Ma qualcosa non va.
Quell’abito che il suo mondo gli ha cucito su misura e che appare impeccabile inizia a stargli stretto. Poi ci sono loro, i Beatles. Bob non è affatto ossessionato dal loro successo ma dal loro modo di suonare e anche lui vuole ampliare i suoi orizzonti musicali inserendo altri strumenti a supporto della semplice chitarra.
L’universo da cui proviene però non può tollerare una simile deriva e storce il naso ma a Dylan poco importa: l’amico Johnny Cash lo ha rassicurato, spiegandogli che deve sentirsi libero di fare ciò che ritiene meglio per la propria musica e nel mentre accade anche qualcos’altro di decisivo. John P. Hammond, figlio dello scout che ha portato il ragazzo del Minnesota alla Columbia, sta registrando un album di blues elettrico, So Many Roads, inisieme ad alcuni musicisti provenienti dagli Hawks, il chitarrista Robbie Robertson, il batterista Levon Helm e l’organista Garth Hudson (suoneranno in seguito anche con Dylan e diventeranno famosi come The Band): il nostro è rapito dal risulltato di quel vinile e sempre più determinato a difendere le sue scelte.
Bob si presenta nello studio AS della Columbia, a New York, il 13 Gennaio del1965 e la prima sessione di registrazione è, sorprendentemente, solo acustica: piano, chitarra e armonica servono per incidere dieci brani di cui solo uno uno alla fine entrerà nel nuovo disco.
Il giorno successivo torna nello studio A ma stavolta con i rinforzi: vengono reclutati i chitarristi Al Gorgoni, Kenny Rankin e Bruce Langhorne, il pianista Paul Griffin, i bassisti Joe Macho e William Lee ed il batterista Bobby Gregg. Tre ore e mezza di registrazione che portano a completare sei brani, tuttavia dopo cena Dylan torna in studio con Langhorne, il già citato John P. Hammond e John Sebastian ma i risultati non sono soddisfacenti.
Il 15 Gennaio sarà determinante: Bob e gli stessi musicisti del giorno precedente, con l’eccezione di Frank Owens al posto di Griffin, completano gli altri brani ed il risultato è entusiasmante, anche il produttore Tom Wilson ha già capito che quel disco – che verrà distribuito il 22 Marzo – cambierà la storia del rock.
Già, il rock, quella musica finora considerata un capriccio per ragazzi agitati e con gli ormoni in subbuglio, i cui testi recitano solo “yè yè”, “hey baby” o raccontano improbabili amorazzi, è diventato una cosa seria e iniziano a capirlo anche sull’altra sponda dell’oceano.
Il 28 Agosto di quell’anno avviene l’incontro con i Beatles e pare che si riveli costruttivo per entrambi. Hanno molto da dirsi gli uni con l’altro e si può notare già da Help! – uscito poche settimane prima – come i Fab Four siano stati influenzati dalle tracce incandescenti di questo lavoro: “yè yè” non basta più e per tenere il passo dei tempi ci vogliono liriche all’altezza.
Qualcuno ha scritto che Dylan, in questa occasione e da qui a venire, abbandoni la protesta ma non è affatto così.
Bob si affina e protesta ancora ma lo fa in modo molto più ironico, elegante e, soprattutto, introspettivo.
Subterranean Homesick Blues, probabilmente ispirata da Chuck Berry, è un classico New Orleans blues con due soli accordi, che critica aspramente il sistema americano capace di “impiccarsi da solo e persino esserne fiero”.
In She Belongs To Me l’autore ci spiega come la vena artistica vada costantemente alimentata mentre nella successiva Maggie’s Farm analizza in modo crudo ed essenziale la dura vita delle aree rurali degli USA, sottolineando la difficoltà di uscire da quel mondo.
Love Minus Zero/No Limit è una canzone d’amore che parla della calma che una persona può portare in un mondo caotico, narrata attraverso immagini surreali, con influenze che vanno dal Libro Di Daniele, a Il Corvo di Edgar Allan Poe, passando per The Sick Rose di William Blake.
Outlaw Blues segue la vita di un uomo perennemente in fuga e stanco di non avere un posto in cui fermarsi mentre On The Road Again fa ad essa da contraltare esaltando la vita dell’artista bohémien che pur si muove tra mille difficoltà.
Bob Dylan’s 115th Dream è una grottesca demolizione dei valori base americani in cui il Capitano Arab (chiaro riferimento a Herman Melville) incontra creature bizzarre durante il suo viaggio che parte proprio dalla scoperta dell’America.
Il lato B si apre con la leggendaria Mr. Tambourine Man, una ballata che racconta il linguaggio convenzionale dei pusher del Greenwich Village con uno stile che pare mutuato dalla Poesia di Arthur Rimbaud, seguita da Gates Of Eden, una sorta di nonsense che ancora oggi è considerata tra le più enigmatiche composizioni di Dylan.
It’s Alright, Ma (I’m Only Bleeding) contiene alcuni dei versi più celebri dell’autore, su tutti “money doesn’t talk, it swears” (il denaro non parla, giura), “although the masters make the rules for the wisemen and the fools” (nonostante i padroni facciano le regole per i saggi e per i pazzi) e It’s All Over Now Baby Blue, chiude il disco raccontando la fine di una storia d’amore.

Bob Dylan (© X)
FORSE NON SAPEVATE CHE…
Dylan si presentò al Festival Folk di Newport il 25 Luglio del 1965, supportato da una band che vedeva Mike Bloomfield alla chitarra elettrica, Sam Lay alla batteria, Jerome Arnold al basso, Al Kooper all’organo e Barry Goldberg al pianoforte, imbracciando egli stesso una chitarra elettrica. La reazione dei puristi del folk fu una bordata di fischi, ma pare fossero dovuti non alla scelta dell’artista quanto alla pessima qualità dell’amplificazione. Dylan abbandonerà il palco dopo soli 15 minuti ma vi tornerà subito dopo da solo ed eseguendo con la chitarra acustica It’s All Over Now Baby Blue e Mr. Tambourine Man, riscuotendo grande favore. Tuttavia a seguito dell’episodio Dylan non tornerà più alla rassegna fino al 2002…
Tra le numerose tracce scartate dalla prima sessione, possiamo trovare I’ll Keep It With Mine, che la cantante/attrice Nico inciderà nel suo album d’esordio Chelsea Girl tre anni più tardi e Farewell Angelina che Joan Baez porterà al successo pochi mesi dopo…
La donna ritratta nella copertina, sullo sfondo, è Sally Grossman, moglie del manager di Dylan, Albert Grossman. Lo scatto, iconico e distorto da una lente, è opera del fotografo Daniel Kramer…
Pare che lo stesso Dylan abbia spiegato a dei fans che non lo avevano nemmeno riconosciuto il significato di Mr. Tambourine Man. “Funziona così, ragazzi… il pusher entra in un locale, si siede al banco ed inizia a tamburellare con le dita su di essoo: è il segnale che ha la roba e se ti avvicini chiedendo ‘hey Mr. Tambourine man play a song for me’ l’affare va in porto”…
Le sessioni di registrazione del secondo e terzo giorno avvennero senza aver fatto alcuna prova. Bruce Langhorne ha affermato che il giusto feeling per ottenere quel risultato si trovò in studio, mano a mano che i brani venivano suonati. Esistevano solo alcuni appunti, nemmeno precisissimi, a cui fare riferimento.
Bringing It All Back Home non è semplicemente un disco, è un’opera fondamentale, che ha dato dignità al rock e l’ha portato al centro della scena musicale internazionale. È il motivo per cui sono numerosissimi gli artisti e band, anche con sound molto diversi tra loro, che citano Dylan tra le proprie influenze più importanti.
