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Musica

Karl Wallinger: The One Man Band

Una giovinezza segnata da talento, curiosità e un amore viscerale per la musica. Dai primi ascolti ai corsi di strumento, tutto sembra spingerlo verso un destino già scritto. Un percorso che parte dal Galles e affonda nella tradizione, ma guarda già lontano.

Karl Wallinger (©Karl Wallinger on Tonight Live)
Karl Wallinger (©Karl Wallinger on Tonight Live)

Londra, 1983.

Un ragazzo di venticinque anni è seduto in un pub leggendo gli annunci e l’occhio gli cade su un “chitarrista cercasi”. Si chiama Karl, nome curioso da quelle parti, ma lui viene dal Galles, quella terra dove tutto è un po’ curioso, e fin da bambino ha sempre dimostrato un grande talento per la musica.

Ha passato ore ad ascoltare i Beatles, Bob Dylan, i Beach Boys e tanti altri del suo tempo, imparandone a memoria testi e musiche. Il padre, architetto, ne ha assecondato le incliinazioni e l’ha iscritto a corsi di pianoforte classico e oboe e lui stesso ha imparato a suonare la chitarra da autodidatta. In maniera curiosa però. Karl infatti è mancino ma la smania di suonare quello strumento era troppa e non ha invertito l’ordine delle corde ma ha imparato gli accordi sottosopra.

Ha frequentato per un periodo la scuola di cantoria del prestigioso collegio di Eton, dove si è messo in luce ed ha guadagnato una borsa di studio per la Charterhouse School, terminata la quale fa ritorno in Galles, nella sua Prestatyn. Qui inizia la sua carriera, prima come tastierista in una band chiamata Pax, poi ne formerà una egli stesso, i Quasimodo, ed ancora con Nigel Twist e Dave Sharp, che entrambi confluiranno negli Alarm. Decide che la sua terra gli sta stretta e si sposta a Londra, dove trova impiego nell’editoria musicale presso la Northern Songs di Dick James e Brian Epstein. Ed ora è in quel pub, e quell’annuncio sembra fatto apposta per lui.

Un incontro decisivo

L’incontro con l’inserzionista, Mike Scott, avviene ma Karl lo convince che la sua band ha più bisogno di un tastierista e l’affare va in porto.
Il giovane gallese si unisce quindi ai Waterboys che vanno in tour per promuovere il loro primo album e contribuirà alla realizzazione del secondo, A Pagan Place.

Scott rimane impressionato dalla sua abillità di polistrumentista e arrangiatore e nel terzo disco della band, This Is The Sea, il suo contributo è fondamentale: firma il brano Don’t Bang The Drum, traccia d’apertura, ed aggiunge parti di synth controtempi e struggenti cori a The Whole Of The Moon, brano che determinerà il successo del gruppo. I primi problemi però si manifestano: lui e Mike sono personalità forti ed ognuno cerca di attribuirsi i meriti del successo. In questo contesto la casa discografica della band, la Ensign Records, gli propone un contratto solista e lui non si fa scappare l’occasione lasciando Mike e compagni. Tuttavia, proprio Mike Scott, nel 2012, dichiarerà:

“Karl c’era sempre per me. Era un ottimo fonico, sapeva sempre ottenere un grande sound ed era molto paziente con me mentre suonavo nove differenti parti di chitarra. Ci siamo fatti un sacco di risate ed abbiamo avuto tante interessanti doscussioni riguardo la filosofia. Fin da quando l’ho incontrato scriveva canzoni e la nostra etichetta ha fatto bene a dargli la possibilità che certamente meritava, ma se volevano che rimanesse nei Waterboys, beh, non è stata una grande mossa”.

La nascita degli World Party

Nascono così, nel 1986, gli World Party, incentrati sulla figura di Karl stesso, con turnisti ad alternarsi per tour e registrazioni.
L’anno successivo, il debutto discografico con Private Revolution, che entra in classifica in cinque Paesi, raggiungendo, tra gli altri, un ottimo tretanovesimo posto negli Stati Uniti e un insperato tredicesimo posto in Australia. Sul disco compaiono vari nomi come musicisti: Rufus Dove alle chitarre, Will Towyn alle tastiere, Delahaye alla batteria, Millennium Mills al piano, a Ahmed Gottlieb al sitar, ma quasi certamente sono tutti pseudonimi usati dallo stesso Karl. Rimane il dubbio solo su Delahaye, usato anche in alcuni dischi dei Waterboys e che potrebbe riferirsi a Mike Scott.

Alcuni collaboratori però ci sono davvero: Steve Wickham al violino, Martin Finnucane all’armonica, Anthony Thistlethwaite al sassofono ed ai cori una ventenne irlandese di belle speranze, Sinéad O’Connor. Musiche e testi sono di Karl stesso, tranne Dance Of The Hoppy Lads, scritta in coppia con Wickham e All I Really Want To Do, una cover di Bob Dylan. Tre i singoli: la title track, All Come True e soprattutto Ship Of Fools, che ottiene piazzamenti importanti in svariati Paesi tra cui un quarto posto in Australia e un quinto negli USA.

Il disco, il tour

Dopo un breve tour promozionale, Karl torna in studio e ne esce nel 1990 con un’opera di grande valore artistico: Goodbye Jumbo.
Il disco è un concept-album sulla parabola umana che ha momenti veramente toccanti. I testi, profondi e densi di significato, vengono accolti con grande favore dalle nuove generazioni: la BPI (British Phonographic Industry) lo certificherà disco d’argento e la prestigiosa rivista musicale “Q” lo eleggerà disco dell’anno. Due i singoli: Put The Message In A Box, che comincia a far capire la bontà di quel lavoro arrivando all’ottavo posto della alternative chart negli Stati Uniti e Way Down Now che poco dopo guarderà tutti dall’alto in basso della stessa graduatoria.

Stavolta i turnisti ci sono veramente, ben undici, e ritroviamo ancora Wickham e Sinéad O’Connor, oltre al chitarrista/bassista David Catlin-Birch e al batterista Chris Sharrock, reclutati dai Bootleg Beatles, una tribute band, e che entreranno in pianta stabile dal disco successivo. Uscirà anche un terzo singolo, Thank You World, che pur entrando in classifica non otterrà il successo auspicato. Data la popolarità acquisita, gli viene proposto di aprire i concerti del tour di Neil Young ma i dirigenti della Ensign glielo negano, obbligandolo a tornare in studio. Anni dopo Karl definirà quell’episodio come il punto di svolta in negativo della sua carriera:

“Oggi con la storia del premio di Q sarei sparato in giro per il mondo ma ai tempi alla Ensign mi negarono questa possibilità, costringendomi a rinchiudermi di nuovo in studio. Capirete, altri tre anni fuori dai radar ed è uno di quei momenti in cui una porta aperta si chiude a decidere tutto”.

Karl Wallinger e una questione di diritti

Il successivo Bang!, nel 1993, ispirato al libro Storia Della Filosofia Occidentale di Bertrand Russell, sarà l’apice del gruppo, spopolando in patria e arrivando al secondo posto, con i tre singoli All I Gave, Give It All Away e Is It Like Today? che centrano tutti le charts: quest’ultimo, in particolare, avrà fortuna anche sull’altra sponda dell’oceano raggiungendo un eccellente quinto posto.
Fortemente segnato dalla scomparsa della madre di Karl, avvenuta pochi mesi prima, Egyptology esce nel 1997, preceduto da due singoli promozionali che non entrano nemmeno in classifica, Call Me Up e She’s The One, un terzo singolo, Beautiful Dream, raggiunge il trentunesimo posto ma i successi precedenti sono lontani.

Ma accade un fatto: attraverso Guy Chambers, collaboratorer di lungo corso di Karl entrato nello staff di Robbie Williams, She’s The One arriva alle orecchie dell’ex-Take That che decide di inciderla come singolo portandola al primo posto e regalando all’autore un Ivor Novello Award. Karl rompe con la sua casa discografica, pretende – ed ottiene – di riavere indietro i suoi diritti e nel 2000 con l’etichetta Seaview pubblica Dumbing Up, che non ha gran fortuna ma il successo di She’s The One lo ha riportato sotto i riflettori e, con il fedele Catlin-Birch, progetta un tour negli USA l’anno seguente ma il progetto non riuscirà a concretizzarsi: un giorno di Febbraio accusa un malore e chiede di chiamare un’ambulanza per farsi portare in ospedale dove gli viene diagnosticato un aneurisma cerebrale. Sottoposto ad un delicato intervento avrà necessità di quattro lunghi anni di riabilitazione. A tal proposito dichiarerà:

“Ad un certo punto ho quasi temuto che Robbie volesse rubarmi la band ma grazie a Dio ha inciso la cover di She’s The One. Con i diritti d’autore ho mantenuto la mia famiglia in un momento difficile, durante il quale non potevo lavorare. Gli sarò sempre grato per questo”

Gli ultimi anni

Nel 2006 riappare sulle scene, finalmente padrone di sé stesso, esibendosi in alcuni festival oltreoceano, in Texas ed in Tennessee, e partecipando a Big Blue Ball, un progetto discografico curato da Peter Gabriel e Stephen Hague. Un anno dopo apre per gli Steely Dan nel loro tour australiano e nel 2009 gli World Party sono una presenza fissa nei festival della costa occidentale USA.

Nel 2012 esce Arkeology, un cofanetto con cinque CD in cui si possono trovare, fra inediti, outtakes e versioni live, circa settanta brani e oltre alle date americane la band torna ad esibirsi nel Regno Unito, chiudendo la serie di concerti alla Royal Albert Hall. Tre anni più tardi va a vivere ad Hastings, dove continua a lavorare sulla sua musica ma non pubblicherà più nulla.

Ed è proprio in quella casa che Karl Wallinger muore improvvisamente il 10 Marzo 2024 a causa di un ictus. Il suo grande talento ha segnato le strade di Waterboys e World Party, lasciando un solco indelebile lungo quella controversa decade che furono gli anni ’90.

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