Seguici su

Ciao, cosa stai cercando?

Magazine

Sanremo 2026: costruire se stessi al di là del peso del cognome

In seguito all’annuncio della lista dei 30 partecipanti in gara tra i Big di Sanremo 2026, pubblicata ieri, le domande sorgono spontanee: quanto conta avere un determinato cognome all’inizio della propria carriera? Quanto pesa il proprio nome? A che prezzo si può costruire il proprio percorso e far germogliare la nostra identità?

Al Festival di Sanremo questo febbraio LDA, Leo Gassmann e Tredici Pietro, eredi rispettivamente di Gigi D’Alessio, Alessandro Gassmann e Gianni Morandi, saliranno sul palco e si presenteranno con un bagaglio musicale e un percorso diverso ma comunque tutti segnati da un’eredità ingombrante. Due di loro hanno scelto un nome d’arte per prendere le distanze dal loro cognome, mentre Leo lo porta con orgoglio, trasformandolo in un punto di forza. E se battute e pregiudizi non sono mancati per nessuno dei tre, la loro carriera dimostra come, in certi casi, sia il talento e le qualità artistiche a valere.

Elettra Miura Lamborghini: quando il cognome si trasforma in spettacolo

Accanto a loro spunta anche un quarto volto: Elettra Miura Lamborghini, figlia d’arte ma in un altro senso. L’imprenditore Tonino Lamborghini è suo padre, suo nonno Ferruccio è stato il fondatore della celebre casa automobilistica. Eppure, Elettra quel marchio lo ha cambiato e ribaltato, trasformandolo in un simbolo iconico di una figura pop fatto di reality, hit estive, dell’album Twerking Queen, fino a Sanremo 2020 e ora al ritorno atteso.

Il percorso artistico di LDA

Luca D’Alessio, 22 anni, ha scelto il suo nome d’arte e si esibirà come LDA per marcare sì una distanza simbolica dal peso del cognome ma soprattutto per affermare una propria identità artistica. La sigla del suo nome può anche essere letta come un filtro tra il percorso personale, iniziato sotto i riflettori di Amici e la carriera del padre. Non è la sua prima volta all’Ariston: nel 2023, ha già calcato il palco con Se poi domani. Tuttavia, LDA ha cercato di superare le accuse di nepotismo ancor prima della partecipazione al festival canoro.

Ha conquistato, infatti, il pubblico durante Amici 21. Il suo inedito Quello che fa male è certificato disco di platino quando è ancora alunno nella scuola di Maria De Filippi, raggiungendo un primato assoluto nella storia del talent. Dopo la sua esperienza ad Amici, firma un contratto discografico con Sony Music e consolida un’identità musicale pop-urban con sfumature latin. Un genere decisamente distante dal repertorio neomelodico del padre Gigi D’Alessio.

Il suo percorso discografico prosegue e con l’uscita dell’EP LDA debutta al terzo posto della classifica FIMI. Il suo bagaglio musicale viene riempito anche con la certificazione d’oro per il singolo Bandana. Con la pubblicazione nel 2023 del suo album Quello che fa bene iniziano i concerti fino al Summer tour 2024 e 2025. 

A febbraio tornerà all’Ariston, questa volta in coppia con l’amico Aka7even, anch’esso ex partecipante della scuola di Amici, per un nuovo capitolo che compone il suo libro artistico.

Tra musica e cinema, Leo Gassmann rivendica le sue radici

Diversamente si presenta Leo Gassmann il quale non intende nascondere le sue origini, non occultando il peso e il valore del suo cognome e rivendicandolo apertamente. Lo vediamo per la prima volta in televisione a X Factor e nel 2020 la sua gavetta sfocia nella vittoria tra le Nuove Proposte di Sanremo con il singolo Vai bene così.

Il cantante ricorda come la doppia n sia stata ripristinata per volontà del padre Alessandro, dopo che era stata eliminata ai tempi delle leggi razziali: un gesto identitario, legato all’orgoglio per le origini ebraiche. Quel cognome, oggi, è parte integrante della sua carriera artistica ma anche della sua storia e delle sue radici. Perché mai dovrebbe essere nascosto?

Da quella vittoria la carriera accelera: due album in studio, una colonna sonora e il debutto tra i Big nel 2023 con Terzo cuore. Parallelamente cresce anche il richiamo del set. Nel 2024 interpreta il Califfo nella produzione Rai Califano, un ruolo che gli vale il Nastro d’argento come Rivelazione dell’anno. Si è dunque costruito una duplice traiettoria, quella scandita dalla musica e quella tracciata dal cinema.

Quando nel 2026 salirà sul palco più famoso d’Italia, porterà con sé, fiero, non solo il suo cognome ma anche un pubblico che lo acclama, ormai consolidato e un percorso costellato di esperienze artistiche. La sua identità non è un’ombra da tenere segreta ma il manifesto di un’eredità che si afferma, ma che conta meno dei brani, dei ruoli e dei riconoscimenti conquistati sul campo.

Dalle strade di Bologna all’Ariston: il percorso di Tredici Pietro

Pietro Morandi ha scelto di farsi conoscere come Tredici Pietro e di crescere lontano dall’ombra del padre, Gianni Morandi. La sua formazione passa dalle strade di Bologna, dove rap e trap diventano presto il suo vero linguaggio.

La fuga precoce dal nido familiare è una scelta: la necessità di non essere bollato con nessuna etichetta da raccomandato, nessun talent show ad accompagnarlo. Preferisce costruirsi un’esperienza artistica nella scena urban, passo dopo passo, tra singoli, due EP e tre album che ne definiscono l’identità artistica. Ha collaborato con gli Psicologi nel brano Vestiti d’odio, certificato platino e nel 2025 con Fabri Fibra in Che gusto c’è, entrato direttamente in top 10 ottenendo un successo straordinario.

Nel suo progetto Non guardare giù affiora il lato più vulnerabile: Milano, con le sue contraddizioni, diventa lo sfondo di un racconto che tocca autolesionismo, psicofarmaci, depressione e tutte le crepe di un percorso spesso solitario. Tredici Pietro rifiuta l’idea di essere arrivato per il cognome e lo ribadisce traccia dopo traccia, parola dopo parola.

Dopo un tentativo mancato l’anno precedente, nel 2026 debutterà finalmente al Festival di Sanremo. Per lui l’Ariston rappresenta un’occasione per dimostrare che il rap di seconda generazione può imporsi senza scorciatoie e senza la necessità di un nome già scritto nella discografia musicale.

Identità autonome: la necessità di liberarsi dal confronto generazionale e costruire se stessi

Il cognome dunque dovrebbe rimanere un dettaglio sulla carta d’identità, non un pass per il successo né una corsia preferenziale verso le grandi occasioni, che si conquistano con talento, gavetta e forza di volontà. Dovrebbe essere un elemento che cristallizza la propria storia e le proprie radici ma che non definisce l’identità. L’ostinazione di fare paragoni con la carriera e le scelte di vita dei genitori e di generazioni precedenti limita e imprigiona un flusso creativo, artistico, lavorativo ma soprattutto identitario che dovrebbe essere coltivato e crescere in autonomia, senza la pretesa di essere al pari o addirittura migliori rispetto a chi ha vissuto prima di noi.

Il peso del confronto generazionale colpisce non solo in ambito musicale e artistico ma anche i percorsi della maggior parte dei giovani che si trovano a dover giustificare le proprie scelte, a dover intraprendere una via già segnata con il carico di dimostrare di essere all’altezza delle aspettative. Ma poi di chi? Se si riuscisse a distinguere le identità e a riconoscerle come cammini differenti e separati dai rami dell’albero genealogico, probabilmente il talento, le aspirazioni, le qualità e il percorso di vita di ognuno di noi sarebbero riconosciuti come un tassello del puzzle che compone le nostre scelte e il nostro cammino e non un pezzo che deve necessariamente completare, migliorare o essere equiparato all’esperienza artistica, lavorativa o esistenziale di chi ci ha preceduti.

(Fonte: Il Messaggero, Gabriele Ripandelli)

E tu cosa ne pensi?

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *